Sbrighiamo subito le formalità dei dati tecnici per questa seconda tappa del mio press tour “La Via Francigena attraverso i borghi medievali vallesani” organizzato da Associazione Europea Vie Francigene e Pays du Saint Bernard: da Orsières a Bourg St. Pierre, 14 km di percorso, 900 metri di dislivello positivo, sole a picco e caldo tropicale nonostante i 1600 metri di quota. Dato, quest’ultimo, che ha reso assai più faticosa per tutti una tappa che di suo sarebbe stata tutto sommato mediamente impegnativa.
Comunque siamo arrivati, ci siamo scolati una meritatissima birra e ci siamo sistemati a qualche centinaia di metri dal paese in un grazioso hotel (Bivouac de Napoléon) che si trova nel luogo dove nel 1800 si accamparono i 40.000 soldati dell’esercito di Napoleone, e di cui di cui avevo già raccontato nel mio viaggio precedente (trovate la cronaca qui).
In questo tratto di cammino la montagna si fa più gentile, il percorso si svolge in prevalenza su comode stradine sterrate e il panorama si distende in una vallata ampia, coperta di pascoli e intervallata da minuscoli villaggi di baite e granai in legno circondati da orti e giardini in una grandiosa festa di colori. Se non fosse per l’invidia che mi rode pensando al mio stitico orticello, li definirei meravigliosi; la proprietaria di uno di questi piccoli paradisi alpini deve aver colto qualcosa dal mio sguardo depresso, perché senza dire nulla è entrata in casa, è riuscita un secondo dopo e mi ha regalato una tabella su come mantenere le principali piante da fiore. Questo, peraltro, la dice lunga sulla cordialità delle persone che si incontrano lungo il percorso: che non è una novità per chi si mette in cammino, ma resta una piccola magia capace sempre di stupire.

Il Passo del Gran San Bernardo è ormai a portata di vista, a una dozzina di chilometri e un migliaio di metri di quota da qui, e l’idea di avvicinarsi al punto più alto dell’intera Via Francigena è in qualche modo emozionante. Anche se le tre tappe del percorso salgono in modo graduale, faticose ma non impossibili e prive di difficoltà tecniche, l’idea di arrivare a 2500 metri di altitudine e di affacciarsi letteralmente su un mondo del tutto diverso, mi dà anche questa volta la sensazione di star compiendo non solo un percorso, ma anche una sorta di rito di passaggio, qualcosa di importante e memorabile… ma per questo aspettiamo di essere davvero arrivati a destinazione, domani, incrociando le dita (oggi, tra l’altro, a un paio di chilometri dall’arrivo i miei vecchi scarponi mi hanno definitivamente abbandonata, aprendosi sulla davanti della suola come le scarpe dei pagliacci; mi è toccato rattopparli con un cerotto e domani salirò al passo con un paio di scarpette da trail running… sperando che non si disintegrino pure quelle).
Quanto al resto, il nostro piccolo gruppo è sempre più allegro e coeso, e le continue chiacchierate – che spaziano da ricette di cucina a temi filosofico-esistenziali – sono anche un aiuto a non sentire la fatica che aumenta insieme alla strada percorsa. Se volete saperne di più su chi sta camminando con me, e anche per avere qualche informazione più precisa, strutturata e completa, vi rimando alle belle cronache che sta facendo “il direttore”: Marco Giovannelli, giornalista, esperto di cammini, “inventore” della Via Francisca del Lucomagno e – per l’appunto – direttore di Varese News, di cui vi metto qui il link all’articolo che racconta la nostra giornata.
Una citazione a parte, però, meritano Rachel e Joelle, le nostre due tostissime e bravissime guide, capaci di sorprenderci con un picnic a base di erbe selvatiche raccolte lungo la strada (tritate con un frullatore portatile a corda) e formaggio sérac (una specie di ricotta freschissima), di farci tenere il passo, di incoraggiarci nei momenti più duri, di raccontarci curiosità e dettagli di questi luoghi. Ma anche di farci ridere a crepapelle per il loro italiano: comprensibilissimo ed estremamente apprezzato (in ogni caso decisamente meglio del francese della maggior parte di noi), ma anche con una serie di caratteristiche che spesso lo rendono esilarante. Un po’ per gli accenti: anche se le parole sono giuste, non c’è un solo accento, e dico uno, che sia al posto giusto. “Àndiamo a màngiare subìto” può dare una vaga idea dello stile, reso delizioso dalla simpatia delle interlocutrici, ma irrimediabilmente buffo. E soprattutto per certe frasi che, pur chiarissime nella loro intenzione, assumono un significato a volte un po’ destabilizzante. Come, in vista della suggestiva cappella di Notre Dame de Lorette, a poca distanza da Bourg St. Pierre, l’entusiastica domanda rivolta al gruppo: “Chi vuol dare una pregata?”. Da un’ottima intenzione a un mood a dir poco blasfemo, il passo è breve. Ma l’importante è capirsi. E questo, tra una risata e l’altra, ci riesce benissimo: è, anche questa, la magia del cammino.
