Inizio questo post con una dichiarazione assai poco usuale per una cinica cattivona come me: vi voglio proprio bene, a voi che avete la pazienza di seguirmi in queste mie piccole storie di viaggio. Perché proprio non mi aspettavo la quantità di messaggi, affettuosi, accudenti e un po’ preoccupati, che mi sono arrivati nell’ultima settimana, quando sono improvvisamente sparita dai social e dal blog. Grazie, davvero: mi avete fatto sentire voluta bene.

A questo punto, però, la domanda: e perché mai sei sparita? Bene, riprendiamo le fila del racconto del mio viaggio in Cechia, che la scorsa settimana è proseguito – sempre seguendo la Ciclovia della Cortina di Ferro, costeggiando il confine con l’Austria – lungo altri luoghi spettacolari. Anche qui boschi, villaggi, piccoli laghi tranquilli (c’è un’intera zona che viene chiamata “Canada Boemo”, e in effetti la somiglianza con i paesaggi del Quebec è notevole) e una quantità di itinerari perfetti per la bicicletta: non solo lungo il tracciato ufficiale Eurovelo 13, che saltabecca di qua e di là dal confine tra Cechia e Austria, ma anche lungo una serie di percorsi alternativi (e ben segnalati con cartelli gialli numerati) che si snodano interamente in territorio ceco. Molti sono percorsi sterrati, in vari casi piuttosto sconnessi e sassosi. Ma anche quando ci si trova a scegliere percorsi asfaltati (come ho fatto io l’ultimo giorno nella tappa da Nové Hrady a Slavonice, 72 km per 735 metri di dislivello positivo, causa stanchezza e conseguente desiderio di terreni più scorrevoli), c’è una quantità di strade tranquille a bassissimo traffico che permettono di pedalare con assoluto piacere.

Spostandosi verso sud-est le presenze turistiche tendono ad aumentare. Ma intendiamoci: per come siamo abituati noi è un’affermazione che fa quasi ridere, perché si passa dalla solitudine assoluta dei primi giorni all’incontrare qualche gruppetto di cicloviaggiatori ogni mezza giornata. E anche nei paesi e nei luoghi più celebri – come il delizioso laghetto nei pressi di Chlum u Třeboně, o il maestoso castello di Landštein – il concetto di “affollamento” è del tutto relativo: giusto quel po’ di persone, nella stragrande prevalenza ceche, per non dare all’insieme un aspetto desertico. Non starò a tediarvi, dopo tutti i post precedenti, con altre descrizioni di boschi e paesini: meglio se vi metto qualche foto, così riuscite a farvi un’idea più facilmente.
Ma ci sono un paio di cose che meritano un racconto più dettagliato: la prima è la tappa finale del mio itinerario, la cittadina di Slavonice, che mi ha lasciato davvero a bocca aperta. Si trova a un paio d’ore di auto da Praga, nella Boemia Meridionale a una manciata di chilometri dal confine con l’Austria, e vanta una storia lunghissima e inconsueta. Proprio qui, nel 16° secolo, venne aperta una stazione di posta tra Praga e Vienna, cosa che consentì alla città di arricchirsi e ai suoi cittadini di costruire splendide case a dimostrazione del loro elevato status economico. Le cose, però, girarono poi decisamente al brutto. Le linee commerciali cambiarono e arrivarono una serie di grossi guai: l’invasione dell’esercito svedese, l’epidemia di peste, la guerra dei trent’anni. Tutte cose che però si limitarono a estinguere lo sviluppo del paese, ma non intaccarono le costruzioni cittadine. Che quindi oggi, perfettamente restaurate, tornano a noi in un centro storico che è un trionfo di case rinascimentali cesellate e decorate come veri gioielli. Una cittadina che è un’autentica delizia, dall’atmosfera tranquilla e popolata da qualche turista locale e piccoli gruppi di cicloviaggiatori, e che da sola potrebbe giustificare una deviazione da queste parti (tanto più che a una trentina di km da qui c’è anche Telč, altra città da fiaba addirittura iscritta nel Patrimonio Unesco, che purtroppo non ho avuto il tempo di visitare. Buon motivo per tornare…).

La seconda cosa che volevo raccontarvi è il mio pranzo a Besednice, piccola località fuori dalle rotte turistiche, dove la famiglia di Vìtek (la mia guida ciclistica in questo viaggio) possiede da molte generazioni una splendida fattoria in stile “barocco rurale” e dove sono stata invitata a pranzo. Il che, oltre a un’ottima zuppa gustata sotto una pergola nel grande cortile interno, mi ha dato l’occasione per chiacchierare con il padre di Vìtek, un cordiale ed energico settantenne le cui vicende personali sono anche un concentrato di storia ceca ed europea. Già la generazione precedente della famiglia si era trovata, in quella scomodissima zona di confine lungo la cortina di ferro, a gestire difficilissime situazioni che andavano da tentativi di esproprio a requisizioni dell’intera produzione lasciando la famiglia ai limiti della sussistenza, dalle richieste di rifugio di soldati in fuga durante il conflitto a quelle coloro che in tempo di guerra fredda tentavano la fuga verso Ovest. Tutte cose che il buon Peter mi raccontava con passione e quantità di dettagli. Si trattava però prevalentemente delle vicende dei nonni: lui, infatti, è del ramo cittadino della famiglia, nato e cresciuto a Praga, e la fattoria di Besednice rappresentava (ed è tuttora) la casa di vacanza. Così, ho pensato bene di chiedergli degli eventi del ’68, la famosa “primavera di Praga” quando un primo tentativo di riforme democratiche venne violentemente soffocato dai carri armati sovietici.

Chiarisco che questa specie di intervista si svolgeva in modo un po’ macchinoso: io facevo le domande in inglese a Vìtek, che le traduceva in ceco a suo padre, il quale rispondeva in ceco a suo figlio che le ritraduceva in inglese a me. Questo per dire che non afferravo assolutamente nulla di quello che diceva Peter. Ma quando siamo arrivati a questo punto l’ho capito benissimo, perché è stata la sua voce a cambiare di botto, a diventare più lenta, più grave, più sofferta. Perché lui, nell’estate del ’68 aveva 16 anni, andava al liceo e aveva preso parte ai movimenti, alle proteste e alle speranze di rinascita, spente nell’arco di pochi giorni dall’invasione dell’URSS. “I carri armati… sapevamo da qualche giorno che erano in marcia, quindi non è stata una sorpresa vederli arrivare in città. Ma non c’era nulla da fare, e la situazione è ritornata peggio di prima. Io volevo fare l’università e studiare ingegneria – ha raccontato. Ma a quel punto non mi è più stato permesso proseguire gli studi. L’unica mia piccola soddisfazione, in quel periodo, è stata quella di riuscire a sostenere la maturità in francese, come era stato inizialmente concordato con i miei professori. Dopo di che, non ho più potuto fare nulla” (ndr: Peter si è poi preso una notevole rivincita dopo la “rivoluzione di velluto” del 1989, diventando un costruttore di grande successo con un giro d’affari internazionale). Inutile aggiungere come vedono, da queste parti, l’invasione russa dell’Ucraina: basti dire che il quarantenne Vìtek mi ha detto che lo scorso anno, come tutti i suoi amici, ha rispolverato – non so se virtualmente o fisicamente – le armi che teneva in cantina…
Perché sono sparita (ma torno…)
Mi accorgo che come al solito il mio post sta diventando un racconto-fiume, quindi sarà bene che tagli corto. Ecco quindi, per punti rapidissimi, cosa è successo dopo che, felice e satolla, sono ripartita in bici dalla fattoria di Peter.
- dato che minacciava pioggia, ho infilato astutissimamente l’iPhone in un sacchettino ikea a tenuta ermetica
- la minaccia di pioggia si è trasformata in un diluvio terrificante
- una volta arrivata in albergo fradicia come un pulcino, ho scoperto che il sacchettino non era affatto a tenuta ermetica e che il telefono era rimasto a bagnomaria per varie ore
- nell’arco di un giorno l’iPhone ha iniziato una serie di strani comportamenti come se fosse posseduto da qualche entità maligna, disconnettendomi di fatto dal resto del mondo
- sono rientrata in Italia con un telefono dallo schermo totalmente opaco, in cui si potevano scorgere solo vaghe ombre a intervalli irregolari
- appena tornata – furiosa – mi sono precipitata ad acquistare un nuovo telefono, mentre il vecchio continuava a funzionare a singhiozzo e in modo totalmente imprevedibile
- come faccio da anni, per motivi economici ed ecologici, ho comperato un telefono ricondizionato, con cui fino a questa volta ho sempre avuto ottime esperienze
- il nuovo telefono, una volta arrivato, si è rivelato una ciofeca terrificante: praticamente funzionava peggio dell’annegato, ragion per cui ho dovuto restituirlo tra atroci maledizioni. Nel frattempo, però, avevo speso intere giornate (letteralmente) in fallimentari tentativi di travaso di dati e account da un telefono all’altro e poi di nuovo in senso opposto
- nel frattempo ho ordinato un nuovo “nuovo telefono”, che però al momento non è ancora arrivato. Ragion per cui continuo a collegarmi solo saltuariamente, e ogni volta è una sofferenza e una procedura a rischio (nel senso che c’è sempre il rischio che il maledetto mi pianti in asso a metà di una risposta o di un post: la definizione “bestemmie di fuoco” calza piuttosto bene per descrivere le mie reazioni)
- ho finalmente raggiunto il mio computer, ma resta il problema di come recuperare/travasare le foto (possibile, ma con sistemi complicatissimi e riti voodoo).
- forse (ma non mi azzardo a previsioni più solide) nel giro di qualche giorno dovrei tornare alla normalità. Lo dicevo anche 10 giorni fa, ma resto fiduciosa.
Quindi, concludendo: la prima cosa è che anche se non avete mie notizie sono qui, lotto insieme a voi tra canicola e uragani, e conto di ritornare presto pienamente operativa.
La seconda è che, in estrema sintesi, la Cechia non è solo Praga (splendida città che però va vista in periodi meno affollati, perché adesso è il caos). Al contrario, questo Paese è una destinazione (ciclistica, ma anche non) davvero sorprendente e straordinaria, di cui sentiremo presto parlare molto: il consiglio, quindi, è di scoprirlo adesso, perché ne vale veramente la pena.
