Ho cercato la traduzione di lockdown e ho trovato termini come reclusione, blocco, carcere. In effetti, anche in questa fase 2 per quello che mi riguarda non è cambiato molto: continuo a lavorare da casa e continuo a restarmene rintanata quanto più possibile. Eppure, a dispetto di tutto c’è una sottile sensazione di libertà che fa capolino tra le pieghe della situazione. Una strana libertà.
Perché, curiosamente, questa quarantena la sto vivendo in modo duplice. Da una parte sono preoccupata per gli eventi e non vedo l’ora di poter tornare a viaggiare, a muovermi, a incontrare le persone a cui voglio bene. Dall’altra, però, non ho affatto fretta di uscire: un po’ per senso di responsabilità, certo, ma soprattutto perché, paradossalmente, ho scoperto che il rovescio della medaglia di questa clausura è composto anche da tante piccole, inconsuete e inaspettate libertà. Parziali fin che si vuole, ma pur sempre libertà che mi sto assaporando con un senso di sorpresa.

Se devo dirla tutta, gli annunci delle progressive riaperture da un lato mi fanno piacere, ma per contro mi danno anche una certa inquietudine e disagio, come se mi strappassero da una cuccia che mi sono scavata e di cui temo che potrei sentire la mancanza. Chi ha qualche annetto sulle spalle ricorderà, come me, il termine “Ostalgie”: la nostalgia che molti cittadini dell’ex-Germania est hanno provato per anni dopo la caduta del muro di Berlino, anche se questo significava sentire la mancanza di una situazione pesantissima e di un’economia di m. (basti pensare che la mitica Trabant era un oggetto del desiderio). Una reazione che mi era sembrata del tutto incomprensibile, all’epoca, ma che adesso inizio a comprendere meglio: nel mio caso, mi verrebbe da chiamarla Klaustalgie.
E dato che, a quanto vedo, non sono l’unica a soffrire di “nostalgia della clausura”, ecco un piccolo elenco delle libertà collaterali che il restare chiusi in casa mi ha fatto riscoprire. Chissà se qualcun altro ci si ritrova, o se ha altre voci da aggiungere: in caso, me lo scriva, perché le sensazioni e i ricordi sbiadiscono rapidamente. E invece mi piacerebbe tenere memoria di ciò che stiamo vivendo, e che non ritroveremo su libri e articoli di giornale.
- libertà di parlare da soli. Chi ha una vita da single lo fa abitualmente, tra le quattro mura, ma se ne vergogna e se ne guarda bene dall’esibirsi in pubblico. Ora invece parlare ad alta voce con se stessi è diventata pratica talmente corrente che non si fa più caso al contesto. Io ho sentito varie corpose discussioni tra le corsie del supermercato, tutte condotte da interlocutori unici che ragionavano e contro-ragionavano ad alta voce.
- libertà dagli occhiali. Questa cosa riguarda noi miopi, che aggirandoci tra quattro mura e in terreno conosciuto ci dimentichiamo persino di inforcare gli occhiali, almeno fino al momento di guardare la televisione. Per quanto mi riguarda, erano decenni che non passavo l’intera giornata senza lenti sul naso.
- libertà di ricette. Nessuna remora nell’uso di aglio e cipolla, conosco persone che si sono finalmente sfondate di bagnacauda (per chi non la conoscesse: buonissima ricetta piemontese a base di aglio, olio e acciughe, che ti fa puzzare come una carogna per almeno due giorni dopo averla mangiata) finalmente privi di ogni vincolo di tipo sociale.
- libertà di essere brutti. Perché dai, diciamolo: questa quarantena forse ci ha un po’ abbrutiti, ma di sicuro ci ha parecchio imbruttiti. Ingrassati, mollicci, pallidi, con acconciature ben oltre i limiti dell’accettabile (in certi casi taglio e colore “fai da te” hanno combinato ancora più danni della rassegnata accettazione dei fatti) e infagottati in tutone informi. Ma anche accomunati da un unico destino e sollevati dall’onere di dovere in qualche modo essere presentabili, di dover “tenere su la facciata”. Me ne sono resa conto dai mille collegamenti video via zoom, skype o simili, sia per lavoro che con amici o in famiglia: i primissimi giorni ci si truccava, ci si metteva la camicetta stirata, si orientava l’angolazione dell’inquadratura e l’illuminazione in modo strategico. Dopo qualche settimana, abbiamo tutti iniziato a fregarcene allegramente: anche chi produce contenuti video molto spesso ha abdicato alla figaggine e compare sorridente, con una facciotta paffuta e chiome a cespuglio, lasciando sullo sfondo il lavello della cucina anziché la libreria con i volumi della Treccani.
- libertà di stare da soli, senza l’ossessione di sentirsi “sbagliati” o di perdere occasioni importanti se non si fa vita sociale. E passati i primi momenti di disorientamento, ci siamo resi conto che forse un po’ di cura disintossicante da una quantità di rapporti superficiali non può che farci del gran bene.
Insomma, lo so benissimo che al confronto del dramma di una pandemia questi sono dettagli di poco conto. Però sono dettagli che impattano direttamente nella parte più intima delle nostre vite: elementi che ci hanno portato a guardare alle cose più nella loro sostanza che nella loro apparenza, o che ci hanno fatto capire che stare in compagnia di chi si vuol bene è bellissimo, ma che è bello e sorprendente anche stare in compagnia di se stessi. E scusate se è poco.
Tanto più quando, dal mondo esterno, arrivano scenari che non possono non spaventare: e non mi riferisco del virus, evento tragico ma in qualche modo affrontabile e combattibile. Parlo degli esempi di ottusità, stupidità, egoismo, ignoranza, grettezza, odio gratuito di cui siamo stati testimoni; mi riferisco alle assurde reazioni a una splendida notizia come la liberazione di Silvia Romano, certo, ma anche ai mille piccoli episodi di intolleranza spicciola o di assoluto disinteresse verso il prossimo. Quando vedi che “fuori” ci sono così tante brutte persone, la reazione istintiva è quella di chiudersi dentro, di tagliare i ponti con un certo schifo, pensando che in fin dei conti rifugiarsi tra le quattro mura non è poi così male. È una prospettiva falsata, me ne rendo conto: gli imbecilli sono più vistosi delle persone perbene, e lo sono ancora di più quando hanno una tastiera e molto tempo a disposizione. E farsi mettere in trappola da questa squallida minoranza sarebbe un errore… ma ogni tanto la tentazione è forte.

Torneremo fuori, quindi; torneremo alla normalità e sarà bellissimo. Ma penso comunque che alcune cose di questo periodo mi mancheranno, quando tutto sarà finito: come pure mi mancherà la riscoperta di piccoli oggetti che avevo quasi dimenticato, legati a epoche e a ritmi di vita che risalgono alla mia infanzia. Ad esempio il portatovagliolo, accessorio rispolverato dopo molti decenni: da quando cioè essere a casa e sedersi allo stesso tavolo per colazione, pranzo e cena era una consuetudine assolutamente normale.
Sono gli scherzi della Klaustalgie: già mi vedo, tra qualche decina di anni, tentare di spiegarlo ai miei bisnipoti e passare per una vecchia matta un po’ rimbambita.