Per quanto riguarda la parte più strettamente turistica del Cairo… beh, i “luoghi da non perdere” sono un’infinità, a cominciare dal “Cairo islamico” con le sue innumerevoli moschee, alcune delle quali antichissime, passando per la “Cairo copta” con le sue memorie proto-cristiane, inclusa la grotta in cui si nascose la Madonna con Gesù bambino durante la famosa Fuga in Egitto (suppongo ci fosse anche Giuseppe, ma chissà perché nessuno lo nomina mai). Poi ci sono posti strambi e un po’ surreali, come la “città dei morti”: un immenso cimitero cittadino in cui le tombe – spesso vere e proprie costruzioni – sono state occupate nel corso del tempo da ondate di poveri diseredati che affluivano in città e che hanno trovato lì un luogo dove abitare, dando così vita a una specie di macabro condominio: di sotto i cari estinti (spesso visitati dai parenti ancora in vita) e al piano di sopra i vivi che si arrabattano a campare.
E poi, ovviamente, ci sono le piramidi, e da quelle non si può prescindere. Anche se la parte impressionante (seppure in senso negativo) inizia molti chilometri prima, una volta attraversato il ponte sul Nilo, a Giza (che, insieme al Cairo vero e proprio, è parte integrante dell’intera area urbana). “Una volta qui era tutta campagna” è stato più o meno quello che mi ha detto la guida che mi accompagnava: non garantisco sulla veridicità delle affermazioni, ma fino a sette anni fa, a quanto pare, oltre il fiume c’era nei pressi della zona urbana anche un’area verde di coltivazioni. Dopo la rivoluzione, però, l’afflusso di persone verso la capitale ha assunto dimensioni gigantesche e ha dato luogo in men che non si dica a una megalopoli da incubo.
Chilometri e chilometri di palazzi alti parecchi piani, assemblati alla bell’e meglio con materiali di fortuna, spesso senza allacciamento alla rete elettrica e idrica e quasi sempre lasciati incompleti (un po’ per mancanza di soldi, un po’ perché tanto non c’è il problema di difendersi dal freddo o dalla pioggia, e in parte – mi è stato spiegato – anche perché fino a che non sono montate porte e finestre la casa non è considerata finita e non è soggetta a tasse). Un panorama davvero inquietante, creatosi in pochi anni ai confini con il deserto e con la piccola altura su cui sorgono le piramidi.
Che sono, per davvero, favolose e incredibili: per la loro imponenza, per il fascino che emana da un’immagine-simbolo che ci accompagna fin dalla più tenera età, per il pensiero dell’epoca in cui sono state costruite e delle tecniche utilizzate (di cui suppongo fosse parte integrante l’uso di schiavi come materiale “a perdere”). Probabilmente sono interessantissime anche dentro, se si ha voglia infilarsi un un lunghissimo, ripido e affollato cunicolo che costringe a muoversi piegati in due e dà un senso concreto alle parola “claustrofobia”. Se volete altri dettagli chiedete in giro; io dopo qualche decina di metri ho girato sui tacchi e sono riemersa alla luce.
La cosa divertente delle piramidi è che sostanzialmente non puoi esimerti dai rituali un po’ kitsch che accompagnano la visita: il giro in cammello o in calesse, l’acquisto di qualche improbabile oggetto dai venditori ambulanti (io ho preso tre cestoni intrecciati che non ho la minima idea di come far entrare in valigia) e soprattutto le solite foto con il dito sulla punta della piramide o mentre ci si bacia con la sfinge. Ma è inutile fare gli snob e cercare di darsi un tono da viaggiatore indipendente e intellettuale: molto meglio stare al gioco e lasciarsi sommergere dall’allegra kermesse – che a questo punto è tanto tipica quanto i monumenti stessi – seguendo l’esempio dei grupponi di giapponesi o dei locali in visita.
E poi c’è il Museo Egizio. Quello, però, merita un capitolo a parte, che vi racconto nel prossimo post.