Una doverosa premessa
Per una molteplicità di motivi, non mi sarebbe mai venuto in mente di scegliere l’Egitto, e tantomeno il Cairo, come destinazione turistica. Ma il caso ha voluto che mia figlia si stia fermando qui per qualche tempo, e io avevo molta voglia di andarla a trovare. Fedele al mio principio di parlare solo di cose per cui credo di avere almeno un livello accettabile di competenza, eviterò ogni commento di tipo politico; ma una realtà complessa come quella egiziana offre comunque innumerevoli spunti di interesse. Ecco quindi qualche estratto dei miei “quaderni egiziani”.
Come vivere con 20 milioni di vicini di casa
Le dimensioni del Cairo sono qualcosa di impressionante, che sfugge alle nostre proporzioni. Le informazioni sul numero di abitanti divergono di molto a seconda dell’interlocutore: Wikipedia dice circa 10 milioni, ma quando si chiede ai locali c’è chi dice 20 milioni e c’è chi spara addirittura 25; e a guardarsi intorno, sono tutte affermazioni decisamente plausibili.
In ogni caso si tratta di qualcosa di assolutamente spropositato: solo i pendolari che si spostano ogni giorno da e verso i dintorni sono stimati in oltre due milioni. OLTRE DUE MILIONI, non so se ho reso il concetto: come se l’intera popolazione di Roma (o poco meno) si aggiungesse ogni giorno a quella di un’altra città, rappresentandone peraltro non più del dieci per cento del totale.
Nonostante la quantità di gente che si aggira con tutti i mezzi (in auto, in moto, a piedi, in pullmini o su autobus scassatissimi), al Cairo ho contato forse 10 semafori in totale; ma sono pure troppi, considerato che non se li fila nessuno. Il traffico di qui fa sembrare Napoli una tranquilla cittadina svizzera: la gente procede imperterrita, fregandosene dei sensi unici e apparentemente anche del concetto di impenetrabilità dei corpi solidi, affrontando qualsiasi intoppo o difficoltà a suon di colpi di clacson. Il risultato è un’incessante cagnara e un flusso continuo di mezzi che sfrecciano in tutte le direzioni, a qualunque ora del giorno e della notte. In più, i marciapiedi (quando ci sono) sono talmente scassati che tutti camminano sulla strada, e dato che il parcheggio in seconda fila è cosa abituale, ci si trova praticamente sempre pericolosamente al centro della carreggiata. Attraversare la strada a piedi è un esercizio che richiede nervi saldi, riflessi pronti e un angelo custode al culmine dell’efficienza: per passare da una parte all’altra dell’immensa piazza Tarir ho impiegato almeno un quarto d’ora e ho visto ripetutamente la morte in faccia. Poi, per fortuna, ho scoperto la tattica di “prendere un passaggio”: si aspetta che qualche omone egiziano (sono tutti omoni) o alla peggio qualche robusta signora (sono tutte robuste) decida di attraversare e ci si affianca discretamente, rimanendo a valle del flusso di auto e facendosi scudo con il corpo dell’indigeno. Funziona egregiamente.
In parte per l’inquinamento (dopo un’ora da quando sei sceso dall’aereo già ti pizzica la gola), in parte per la sabbia del deserto che è alle porte della città, qui tutto ha un’aria polverosa e una patina giallastra che fa sembrare ogni cosa vecchiotta e sporchina (in molti casi lo è davvero, peraltro). In questa stagione dell’anno, in più, al mattino c’è anche la nebbia, che rende tutto un po’ offuscato e ti fa sentire costantemente come se andassi in giro con gli occhiali sporchi. In compenso però la temperatura è fresca e meravigliosamente gradevole, e non a caso questi sono i mesi migliori per venire da queste parti.
In una metropoli così sterminata, i quartieri assumono caratteri e tipicità molto differenti tra loro, fino a costituire una serie di città nella città: così può capitarti, in mezz’ora di taxi, di passare dai vicoli del vecchissimo e incasinato mercato di downtown con costruzioni fatiscenti, gente che dorme per strada e carretti che vendono mercanzie incomprensibili, al fighissimo quartiere di Zamalek, la grande isola in mezzo al Nilo con palazzi lussuosissimi, uffici super-moderni, negozi molto chic e un’atmosfera che non ha nulla da invidiare ai quartieri alti di una qualsiasi grande città europea; qui sono tanto ricchi che sembrano persino misteriosamente immuni dalla Polvere Che Tutto Ricopre.
Ancora alcune note pittoresche sulla vita quotidiana al Cairo. Ci sono parecchi robivecchi che girano per le strade; ogni tanto, mentre cammini senti un urlo gracchiante che sovrasta il casino dei motori e del clacson: “VECCHIA!!!”. Chissà perché in questo caso usano l’italiano: ma una volta che hai appurato che non si stanno rivolgendo a te, l’effetto è molto buffo.
Le scritte, ovviamente, sono principalmente in arabo: contavo quindi di poter leggere almeno i numeri, dal momento che quelli che utilizziamo si chiamano, per l’appunto, “numeri arabi”; invece, col cavolo. Anche i numeri sono diversi, e oltretutto tendono a confondere: quello che sembra uno zero è il 5, una specie di sette è il 6, una cosa che somiglia al tre, se ben ricordo, è il 4… insomma, un bel casino. Meno male che loro, gli egiziani, sono nella gran maggioranza dei casi persone cordiali, amichevoli e simpatiche. Anche i condizionamenti dettati dalla religione islamica tutto sommato sono più che ragionevoli; alla fine, anche come donna sola, puoi fare un po’ come ti pare e vestirti come meglio ritieni: e anche se le donne locali hanno in gran parte almeno il capo coperto, le occidentali al Cairo non seguono nessuna regola particolare. Semplicemente, come saggiamente spiegava una ragazza di qui, il numero di attenzioni non richieste (fastidiose, ma non pericolose) è direttamente proporzionale alla quantità di pelle scoperta.
Il che non è diverso da molti altri luoghi del mondo, e richiede solo un minimo di buonsenso e di rispetto per le sensibilità altrui (merce non sempre disponibile, comunque: ho visto aggirarsi due ragazzotte spagnole in hot pants e top scopri-ombelico che avrebbero fatto aggrottare la fronte anche nel centro di Milano e che senza dubbio sarebbero state cacciate a pedate da qualsiasi chiesa).
E poi c’è la parte turistica con le sue attrazioni, ma questa è una storia che vi racconto nel prossimo post.