Avvertenza: post un po’ piagnucoloso, ma oggi mi andava di drammatizzare. Non prendetemi troppo sul serio, però.
A meno di 24 ore dalla partenza per Adriatica, la situazione è riassunta dalla foto sopra. Dire che la mia forma fisica è scarsa è decisamente un eufemismo.
Niente di grave, intendiamoci: semplicemente, credo siano i 60 anni imminenti che iniziano a presentare il conto in termini di doloretti vari, articolazioni incriccate, tendiniti che sbucano a tradimento per una semplice passeggiata con le scarpe sbagliate. Tutto in una specie di coro polifonico in cui, a turno, qualche parte del corpo decide di assumere il ruolo di solista. In questo caso si tratta della mano destra, con un’infiammazione alla base del pollice che migliora solo con un tutore in stile robocop; più lo tengo, meno mi fa male la mano, ma vi assicuro che fare i bagagli o digitare sulla tastiera con una specie di zampa semirigida è tutt’altro che comodo.
Comunque, il motivo per cui sto scrivendo queste cose non è il lamentarmi (quello già lo faccio de visu con chiunque mi capiti a tiro) o il mostrare qualche tipo di spirito eroico, al contrario. Mi rendo conto benissimo che si tratta, fortunatamente, solo di piccole magagne e non di quei veri e seri problemi di salute che possono capitarti tra capo e collo, come tutti noi ben sappiamo.
Semplicemente, quello che volevo dire è che anche questa volta la vigilia della partenza è segnata da un lato dall’entusiasmo e dalla voglia di andare, e dall’altro da una serie di resistenze di tutti i tipi: dal “mi fa male la mano e il tallone”, “non sono allenata”, “ho un sacco di lavoro da sbrigare”, passando per “potrebbe esserci brutto tempo” fino all’inevitabile “ma chi me lo fa fare, non potrei sdraiarmi sul divano e godermi una nuova serie di Netflix?”.
Che poi, sono certa che una volta che mi metterò in moto almeno il 90% dei miei doloretti spariranno (o quantomeno avrò di meglio da fare che ascoltarli, il che come risultato è più o meno la stessa cosa) e mi godrò un’esperienza bellissima (più guardo l’itinerario, più ne sono convinta).
Il concetto è che, per quasi tutti (e soprattutto tutte) noi, buttarsi un qualcosa di nuovo e cambiare abitudini è sempre uno strappo, a cui il cervello – e a volte anche il corpo – cercano di opporsi con subdoli trucchetti travestiti da prudenza, senso di responsabilità, serietà. Ma è una truffa, lasciatemelo dire. Non vale la pena di rinunciare a qualcosa che ci piace e ci appassiona per un freno interiore, che è composto in parte da paura e in parte da atavici sensi di colpa.
Aspettare che sia tutto “a posto” e che ci siano le condizioni ideali per partire è un sistema sicuro per non farlo mai, ed è un nascondiglio nei confronti di noi stessi che tendiamo a usare troppo spesso.
Quindi domani si parte, evviva; nel peggiore dei casi, prenderò un treno (e una bella dose di tachipirina) e rientrerò prima del previsto. Ma è un’ipotesi abbastanza remota; mentre è certo che, se dessi retta ai miei timori e alle mie fisime, finirei con il restare a casa. Tra provarci e non provarci, secondo me è sempre meglio la prima.