Dai, ammettiamolo: non “andrà tutto bene” perché, anche ammesso che il peggio sia passato, fino a qui il Covid-19 ha lasciato una scia di morti, sofferenze e problemi senza precedenti negli ultimi decenni. Ma, come spesso accade, dai peggiori guai possono nascere anche elementi positivi: che non bastano a risarcire neppure in minima parte la scia di dolore e devastazione che si sono lasciati dietro, ma che quantomeno offrono un appiglio per andare avanti e non lasciarsi abbattere.
Questa piccolissima premessa/giustificazione è doverosa per rispetto a tutti coloro che in questa emergenza hanno vissuto autentici drammi, a cui va tutta la mia solidarietà e il mio affetto. Perché quello di cui vorrei parlare invece è dell’inaspettata opportunità offerta dall’emergenza Coronavirus in materia di traffico cittadino.
Le città si svegliano (?)
In breve, come ormai tutti sappiamo, è il momento della bicicletta: con mezzi pubblici inevitabilmente insufficienti, causa il necessario distanziamento che ne riduce la capienza al 20/30%, l’unica soluzione possibile per evitare che il traffico automobilistico paralizzi le città è il ricorso intensivo alle due ruote, riscoprendo un tipo di mobilità agile, “leggera” e non inquinante. Idea tanto evidente nella sua validità che è oggi cavalcata da tutte le principali città europee, vedi ad esempio Parigi.
E anche da noi ci si sta muovendo in questo senso. A Milano stanno allestendo in gran fretta corsie e itinerari ciclabili; lo stesso mi risulta che stiano facendo a Roma; incentivi economici per l’acquisto di biciclette (normali o elettriche) sono già stati ampiamente annunciati e al momento in cui scrivo (7 maggio) sembrano ormai di imminente applicazione.
Insomma, c’è voluta una pandemia per farci capire il valore della bici in città, ma forse è l’occasione buona per rendere i nostri centri urbani più accoglienti, meno inquinati, più gradevoli, più fruibili a tutti: in una parola, più “ciclabili”.
Un’occasione da non perdere
Adesso, però, tocca a noi. Perché io sono convinta che le piste ciclabili dove pedalare in sicurezza sono una condizione necessaria ma non sufficiente: per creare un vero salto di mentalità sono necessari soprattutto i numeri. Nessun automobilista incazzoso e irriducibile si convincerà a fare attenzione solo perché c’è una striscia dipinta sull’asfalto. Ma molto più probabilmente si rassegnerà a prendere atto della situazione, adeguandosi, quando al semaforo non si troverà affiancato da un ciclista solitario ma circondato da una massa di pedalatori. Insomma, per come la vedo io, per far sì che pedalare diventi un fatto normale (e sicuro) nelle città è necessario che si sia in tanti a pedalare: che le due ruote, in qualche modo, presidino davvero le strade cittadine e ne prendano possesso. Arrivando così a essere riconosciute come mezzo di trasporto a tutti gli effetti e non come un fenomeno a metà tra il fastidioso e il pittoresco (chi va in bici a Milano, fino ad ora, è normalmente vissuto come “un pirla che ha tempo da perdere e ingombra la strada”).
Esserci, conta
Tutto questo per dire una cosa che finora non ho trovato da nessuna parte: è il momento di una “chiamata alle armi”, perché abbiamo sotto mano un’occasione che non si ripresenterà. In questo momento, per un gigantesco e imprevedibile gioco di fattori, le biciclette possono riprendersi il possesso delle aree urbane: ma devono esserci, perché una pista ciclabile deserta o sottoutilizzata rischia di essere addirittura controproducente.

Quindi, per una volta in vita mia monto idealmente in cattedra per un appello e una raccomandazione.
L’appello è quello di usare quanto più possibile la bici negli spostamenti in città, di dimostrare nei fatti che – se ci sono le condizioni – noi popolo delle due ruote siamo tanti e diamo un reale beneficio alla città. Quindi non solo pedalate voi, ogni volta che ne avete l’occasione, ma convincete chi avete intorno a “lanciarsi” e a rispolverare la bici in garage per andare a fare la spesa, al lavoro o a trovare la nonna. Fate in modo che i ciclisti urbani siano sempre più numerosi e onnipresenti. Ingombriamole, queste benedette ciclabili e queste strade cittadine, ora finalmente un po’ più sgombre di traffico. Facciamo in modo che questo sia solo l’inizio, e che ci sia in futuro sempre più bisogno di fare spazio per le bici nelle sedi stradali.
(Se avete qualche minuto, leggetevi questo articolo de Linkiesta, che approfondisce in modo puntuale e documentato queste tematiche).
E sbrighiamoci, a infilare il piede in questa porta che si è aperta: perché il traffico delle auto aumenta giorno dopo giorno, e se non ci affrettiamo a utilizzare al 120% quello che ci è stato messo a disposizione, rischiamo di perdere un’occasione unica.
Il cervello come accessorio indispensabile
Da ultimo, una raccomandazione (in genere non ho l’abitudine di montare in cattedra in questo modo, ma oggi per qualche motivo mi gira così, sopportatemi…): la bicicletta è un mezzo di trasporto che segue le regole del codice della strada, quindi vediamo di rispettarle, per farci a nostra volta rispettare. I semafori, i sensi unici, le svolte con segnalazione valgono anche per noi ciclisti, ed è cretino non rispettarle: sia perché si mette in pericolo se stessi e gli altri, sia perché in questo modo si offrono stupidamente motivazioni ai detrattori della nostra categoria. Lo dico perché proprio stamattina ho visto un bel gruppone di ciclisti attraversare allegramente con il rosso un viale della circonvallazione, e lo dico anche perché io stessa, qualche anno fa, mi sono rotta un polso travolta da una mentecatta in bicicletta che girava per la strada convinta di essere nel cortile di casa sua quando aveva sette anni.
Vabbè, ho finito la mia tirata. Qui i viaggi in bici non c’entrano nulla, si tratta di vita quotidiana. E della possibilità di tirare fuori almeno qualcosa di buono dalla colossale catastrofe che ci è piovuta sulla testa.