Sto scrivendo seduta sulle comode poltroncine della “vip lounge” del traghetto Venezia Lines che collega Parenzo a Venezia. In pratica siamo sulla via del ritorno, anche se il fatto di percorrerne un pezzo via mare rende la cosa più divertente e piacevole (per chi non soffre di mal di mare, beninteso…).
Così approfitto di queste ore di tranquillità per raccontarvi il nostro percorso di ieri, da Grisignana a Parenzo: un’altra sessantina di km per completare la Ciclovia Parenzana. Questa seconda parte è probabilmente la più tipica e spettacolare; si attraversano folti boschi, si costeggiano paesi ricchi di interesse (come Montona, raggiungibile con una breve – e ripida- deviazione, con un bellissimo centro storico medievale), si vedono i resti del tracciato ferroviario da cui la ciclovia ha origine: ponti, tunnel in pietra, salite dolci e costanti con ampie curve che avvolgono i fianchi delle colline.
E anche – altra cosa tipica di questo tracciato- i sassi: lo sterrato in alcuni tratti (come la lunga discesa subito dopo Grisignana) è decisamente ruvido e richiede una certa attenzione. Nulla di estremo, intendiamoci: ma nel calcolo dei tempi di percorrenza è bene tenere presente che la velocità risulta piuttosto rallentata, rispetto a percorsi dal fondo più regolare. La Bigia si è comportata benissimo e il cambio elettronico si è confermato una comodità che mi ha reso la guida molto più facile e piacevole. In generale, per chi pensasse di venire a fare questo percorso, una bici gravel può andare bene; ma se disponete di una mtb, magari con un ammortizzatore anteriore, starete sicuramente più comodi.
Ad ogni modo (e nonostante una lunga e succulenta pausa pranzo a Višnjan, dove la trattoria Borgonja è un altro nome da segnare) siamo arrivati a Parenzo in tempo per goderci una visita della città, che vanta un sacco di cose: una posizione suggestiva, su una lingua di terra protesa nel mare; un centro storico pieno di stradine, piazze, localini graziosi; una storia lunghissima, con diverse civiltà che hanno lasciato la loro firma (in particolare i romani, tanto che la via principale si chiama ancora oggi “Decumano”, e i veneziani, che hanno costruito palazzi e torri di avvistamento); e soprattutto la Basilica Eufrasiana, nominata patrimonio Unesco, un complesso costruito nel sesto secolo sulle basi di una struttura ancora più antica, le cui tracce sono ancora visibili.
A caratterizzare la chiesa sono soprattutto i mosaici dell’ abside, che richiamano molto quelli di Ravenna (e infatti sono stati i maestri ravennati a realizzarli); per quanto mi riguarda, però, a colpirmi è stata soprattutto l’inconsueta rilevanza delle figure femminili, sorprendente in una chiesa del 500: non solo la Madonna, illustrata in atteggiamenti vivi e realistici, ma anche una serie di medaglioni in grandissima evidenza, ciascuno dedicato a una figura femminile di Santa; un’attenzione alla parità di genere decisamente sorprendente per l’epoca (il sesto secolo, ma anche il ventunesimo, a dire la verità).
Tornando alla Parenzana, mi sono resa conto che non ho raccontato molto sulla interessante genesi di questa ciclovia: che nasce, come molti dei percorsi ciclabili più spettacolari, da uno linea ferroviaria. In questo caso si trattava di una ferrovia a scartamento ridotto che collegava Trieste a Parenzo negli anni dal 1902 al 1935. Una vita tutto sommato breve, e anche abbastanza travagliata da diversi incidenti : già nel 1910, durante una giornata di bora, una raffica particolarmente violenta rovesciò letteralmente il treno facendolo deragliare e causando tre morti e numerosi feriti. Ma è soprattutto la “velocità” a sorprendere e a fornire qualche indizio sulla brevità della vita di questa ferrovia: nei 123 km di tracciato, la punta massima raggiunta era di 30 km/h e ci volevano più di 7 ore per arrivare da un capolinea all’altro. Per fortuna però il tracciato si è conservato per noi pedalatori e camminatori, ed è oggi perfettamente segnalato.
Quanto al resto… l’Istria ci ha riservato alcune notevoli sorprese, innanzitutto in campo gastronomico: in generale, si mangia e si beve benissimo (questa tra l’altro è la stagione degli asparagini selvatici, saporitissimi e inseriti un po’ in tutti i piatti); ma nessuno di noi sapeva che questa è anche una terra di eccellenza per i tartufi, sia neri che bianchi, pregiatissimi e di ottima qualità. Nel ristorante di ieri sera, il prestigioso “Sveti Nikola” sul lungomare di Parenzo, mi sono trovata tartufi persino nel gelato del dessert; e posso assicurare che erano buonissimi.
La lingua italiana è molto utilizzata (gran parte dei cartelli sono bilingui) e compresa dalle persone del posto; che sono anche, nella maggioranza dei casi, decisamente alti. Questo dà luogo a una serie di standard piuttosto spiazzanti per una compagnia di “taglie piccole” come la nostra: ieri, in albergo, per prendere gli asciugamani dallo scaffale ho dovuto arrampicarmi su una sedia. E Giovanni ha raccontato che, nella toilette degli uomini di un ristorante, lo specchio era appeso talmente in alto che lui in punta di piedi riusciva a vedersi giusto la cima dei capelli.
Ma non saranno questi dettagli a scoraggiarmi: a quanto pare, qui in Istria ci sono ancora un bel po’ di cose da vedere, e ho intenzione di tornarci di sicuro. Magari mi porto anche un paio di scarpe con i tacchi, giusto per mantenermi un minimo all’altezza.
