“Verso Est”, giorno uno: come inizio di viaggio possiamo dire che è filato tutto liscio, o quasi. Una tranquilla mattinata di treno per arrivare a Cervignano del Friuli, e da qui una gradevolissima pedalata di poco meno di 40 km su una ciclabile sicura e perfettamente pianeggiante. Il percorso è quello della ciclovia FVG 2, che da Cervignano a Grado si sovrappone all’ultimo tratto della ciclovia dell’Alpe Adria; quest’ultima si conferma uno dei migliori tour per cicloturisti di ogni livello, e per quanto visto finora anche la FVG 2, che prosegue da Grado verso est in direzione Trieste, promette molto bene. I tratti spettacolari sono tanti e molto diversi tra loro: i monumenti di Aquileia con la sua zona archeologica, la sua Basilica e i suoi mosaici antichi (basterebbe questo a giustificare un viaggio); il lungo ponte che collega all’isola di Grado, in una pedalata sospesa tra cielo e acqua; il centro stesso di Grado, che in questo periodo si spoglia dai panni di affollata località balneare per diventare una tranquilla cittadina affacciata sul mare e sulla laguna (segnalo, in caso vi venisse voglia di fare un giro del genere, la trattoria-pizzeria Santa Lucia, ottima e con gestori gentilissimi).
Ci è anche andata bene con il meteo, che dava pioggia fin dopo l’ora di pranzo ma che invece ci ha graziato: freddino, questo sì, ma il diluvio si è fermato appena scesi dal treno e ci ha permesso di restare all’asciutto.
Dopo Grado, poi, il percorso prosegue in mezzo a un suggestivo panorama lagunare, che a un certo punto attraversa anche un’oasi naturalistica (la Riserva Naturale di Valle Cavanata) dove svolazzano uccelli di ogni tipo; fortunatamente solo loro, per il momento. Dato lo scenario, sospetto che ai primi caldi gli animali più presenti in zona siano di gran lunga le zanzare, in numeri e dimensioni da record.
Per il momento, però, la situazione sul fronte insetti è ancora tranquilla.
Come tranquilla era la nostra pedalata su un tratto di ciclabile molto scenografica, su una sorta di argine lungo il mare deserto, quando Giovanni ha iniziato a sentire uno strano rumore nella sua bici: controlliamo la catena, i pedali, le borse in caso qualcosa urtasse o sfregasse. Niente da segnalare. Ma il rumore continuava: nuovo stop, nuovo controllo, ed eccola lì: una bella puntina a testa grossa infilata nel copertone posteriore. L’istinto, come sempre, interviene prima del ragionamento; tolta la puntina è stato come togliere un tappo: pssssssssssst, e la gomma si è ammosciata completamente. Fortunatamente eravamo solo a una manciata di km dalla nostra destinazione, dove Giovanni è riuscito a riparare il tutto sostituendo la camera d’aria: vedremo domani come va.
Intanto però ci siamo sistemati benissimo in questo luogo fuori dal consueto e fuori dal mondo: il Caneo, che è un albergo-bar-ristorante costruito in mezzo ai canneti, a pochi passi dal fiume Isonzo. Che poi, distinguere cosa è fiume, cosa è mare e cosa laguna in questi posti è praticamente impossibile. Ci si muove in un labirinto di acque ferme e acque correnti, dolci e salate, boscaglie e distese di piante acquatiche, in un paesaggio piattissimo e straniante, che diventa ancora più magico con i colori della sera.
A qualche centinaio di metri da qui c’è anche Punta Sdobba, un piccolo tradizionale villaggio di pescatori: una via di minuscole casette basse, una serie di canali in cui sono ormeggiate una quantità di barchette da pesca a fondo piatto, un’atmosfera remota che non concede nulla ai consueti canoni turistici, ma proprio per questo è straordinariamente suggestiva.
Se questo è l’esordio, direi che il nostro giro promette decisamente bene. Anche se io (ma anche Annita e Giovanni, mi pare) sono già stanchissima: domani ci aspetta una tappa ben più impegnativa, in direzione Trieste, e mi domando come andrà. Boh, inutile preoccuparsi adesso: conto sulle prestazioni della Bigia (la mia nuova bici che di sta rivelando una vera meraviglia) e su una bella notte di sonno… e staremo a vedere. A domani!
