Quelli di oggi è stato un inizio di giornata in salita, in tutti i sensi: messe in marcia questa mattina presto da Bourg Saint Pierre, alla prima curva dopo l’uscita del paese siamo precipitosamente tornate sui nostri passi, inseguite da un bel temporalone con pioggia a dirotto e vento.
È finita che ci siamo riparate sotto i portici della sede comunale, dando vita a un ridicolo siparietto: perché stamattina, tra l’altro, si correva anche una gara in montagna (il Trail Velan) e sotto quella stessa tettoia c’erano anche gli atleti in attesa di partire: da una parte loro che saltellavano pimpanti e facevano stretching in calzoncini e scarpette, e dall’altra noi tre con i nostri zainoni, gli scarponi, le mantelle da pellegrine e la faccia dubbiosa (e in un caso pure con una bella sigaretta). Un contrasto non proprio lusinghiero, per noi.
Alla fine, comunque, una volta partiti i trailer, il cielo si è un po’ rasserenato e Cecilia ed io abbiamo deciso di sfidare la sorte e metterci in marcia per i 14 km e i 1050 metri di dislivello che ci separavano dal Passo del Gran San Bernardo, confidando nel fatto che le ultimissime previsioni davano una finestra di asciutto fino alle 14. Irene, invece ha preferito non fidarsi: ha preso l’autobus e ci ha aspettato a destinazione in albergo.
È valsa sicuramente la pena di sfidare il meteo, perché il percorso è bello e affascinante: si sale fino a una grande diga, si costeggia un vasto lago artificiale dall’acqua color del piombo, si attraversano pascoli in quota con mucche così linde e soddisfatte che sembrano messe lì dall’ente turismo, si incrociano grasse marmotte che senza alcuna paura trotterellano a pochi metri da te. E si fanno anche incontri interessanti e un po’ surreali: a un certo punto, da una piccola baita persa nel nulla, affacciata sulla vallata, abbiamo sentito uscire una melodia barocca suonata da un violino. Ci siamo fermate affascinate e incuriosite, e il mistero è stato presto svelato dall’abitante della casetta uscito a salutarci: un signore in mutande, violino alla mano, che ci ha spiegato che stava preparando un concerto in programma nella chiesa del paese lì sotto e voleva provare in tranquillità. Un tipo buffo e simpatico, assolutamente fuori contesto.
Poi, però, le cose si sono fatte un po’ complicate: il cielo si è rabbuiato di nuovo, si è alzato un vento freddo e si è rimesso a piovere. Ora, a parte che per quest’anno almeno non ne posso veramente più di prendere acqua, devo dire che a me i temporali in montagna, soprattutto ad alta quota (a quel punto eravamo ormai intorno ai 2000 metri), fanno parecchia paura.
Così abbiamo deciso di abbandonare il sentiero e – superato il fiume su un ponticello – ci siamo portate sulla strada carrozzabile, continuando a camminare nella speranza di intercettare il bus di linea. Del bus non c’era traccia, in compenso la pioggia continuava ad aumentare; e così Cecilia ha sfoderato il suo migliore sorriso e ha alzato il pollice.
Due autostoppiste quasi sessantenni, bagnate fradice e ingombranti come armadi a due ante: le probabilità erano praticamente nulle… e invece la straordinaria cortesia svizzera non si è smentita neanche stavolta. Dopo una ventina di minuti una simpatica famiglia di Losanna si è fermata, ha trafficato con i bagagli per farci spazio e chi ha trasportato per i 4 km che mancavano al passo.
Insomma, un po’ mi dispiace non aver camminato fino alla fine; però ho pensato che soffrire non ha molto senso, e alla fin fine anche questa è un’esperienza inaspettata, piacevole e divertente.
Quindi eccoci qui, ricongiunte con Irene e alla fine del nostro piccolo tour per la Via Francigena sulle Alpi svizzere. Degna conclusione, la visita all’Hospice (l’ostello millenario che sta in cima al passo, dove avevo dormito lo scorso annoscorso anno), al canile estivo dei San Bernardo (questa volta veri, non di peluche!) e al museo del passo, pieno di informazioni curiose e interessanti.
Questa volta non siamo riuscite a dormire all’Ospizio, perché è strapieno; però ci è andata bene lo stesso perché abbiamo trovato posto dopo il confine, all’Albergo Italia: un locale storico, in una vecchia costruzione di sasso proprio sotto la statua di San Bernardo, con grandi sale vecchiotte e piene di libri, un ristorante luccicante di legno antico e una bella atmosfera accogliente.
Oltretutto, in questo momento dal bar in cui sono seduta a scrivere sta transitando un flusso quasi continuo di ciclisti “di lunga percorrenza”: sono i partecipanti alla “Northcape4000”, partiti questa mattina da Torino e diretti a Capo Nord con una pedalata no-stop in totale autosufficienza. Non si tratta di una competizione vera e propria (non c’è un tempo massimo e non so neanche se esiste una classifica finale) e proprio per questo è una rassegna di simpatici matti provenienti un po’ da tutto il mondo, che si fermano per scaldarsi, fare pipì e mangiarsi porzioni mostruose di crostata di mirtilli. Come la deliziosa coppia con cui ho scambiato quattro chiacchiere, lui spagnolo e lei dello Zimbabwe. Un po’ spaventati da tutta la strada che hanno davanti, ma pieni di voglia di divertirsi: insomma, proprio con lo spirito giusto.
Domani si torna a Milano: speriamo che questi incontri siano di buon auspicio per qualche nuova esperienza.
Ho già in mente un bel po’ di cose… sarà bene mettersi al lavoro!