La quotidianità su una piccola barca a vela è molto diversa da quella a cui siamo abituati. E alcuni aspetti che siamo abituati a dare per scontati, non lo sono poi così tanto…
Giorno 4 di navigazione
Stamattina ho parlato con due stronzi. Non perché abbia avuto a che fare con personaggi sgradevoli, ma proprio nel senso etimologico del termine. Chi ha già avuto esperienze di barche a vela può saltare questo post, ma chi invece non ha mai fatto vacanze simili è invitato a leggere con attenzione queste istruzioni “for dummies” di comportamento a bordo: se mai vi capiterà l’occasione, me ne sarete grati.
La prima cosa che è importante sapere riguarda, ovviamente, la gestione dei bisogni fisiologici. (Nota: da qui in avanti non perderò tempo a cercare garbati eufemismi, quindi preparatevi a un discorso strettamente scatologico).
In barca, difficilmente si riescono a mantenere riservate attività come la cacca e la pipì. I bagni ci sono, certo, e nelle barche ben attrezzate ce n’è addirittura uno per cabina. Gli spazi però sono inevitabilmente angusti e divisi da sottili tramezzi che bloccano la vista, ma non certo i suoni (e spesso neanche gli odori); il rumore della vostra pipì potrà magari confondersi con lo sciabordio delle onde, ma nel caso di sonore scoregge rassegnatevi al fatto che sono destinate irrimediabilmente a diventare di pubblico dominio. Meglio che vi abituiate all’idea il più velocemente possibile, o rischiate di avere la vostra attività intestinale inibita in modo memorabile.

Passiamo ora alla parte più tecnica della faccenda: il funzionamento del water. La prima cosa che vi verrà spiegata e raccomandata è la regola: “entra nel water SOLO ciò che prima è passato dalla bocca”. In altri termini, nient’altro che cacca e pipì, perché i delicatissimi sistemi di tubature della barca rischierebbero di intasarsi con qualsiasi altro materiale: inclusa la carta igienica, che dopo l’uso va gettata in un apposito cestino onde prevenire – come vi sottolineano in modo quasi terroristico – conseguenze assolutamente nefaste. Sembra facile, ma non sottovalutate gli automatismi mentali di noi gente di città; soprattutto quando, chiusi nel vostro sgabuzzino, appagati e rilassati, vi ripulite soprappensiero e… hop, il danno è fatto. La carta è immersa placidamente dove non dovrebbe e voi iniziate a farvi prendere dal panico: ripescarla? azionare lo scarico e fare finta di nulla, passando poi le ore successive nel timore di essere scoperti? salire di nascosto sul barchino di emergenza e remare fino a far perdere le proprie tracce? Sono certa che ognuno si è trovato ad affrontare una situazione del genere; e se mai vi capitasse di udire un urlo straziante “AAAARGH! NONONONONOOOOO…” provenire dalla toilette di una barca a vela, adesso ne conoscete il motivo.
Passiamo ora allo sciacquone, e alla causa della mia assurda conversazione di stamattina: il sistema è azionato da una pompa (manuale o, se siete fortunati, elettrica) che aspira turbinosamente l’acqua di mare e poi rispedisce lo scarico, insieme alla vostra produzione, all’interno di un serbatoio destinato ad essere periodicamente svuotato in mare aperto. Questo meccanismo ha alcuni risvolti suggestivi: azionare la pompa di notte, richiamando l’acqua dall’esterno, può dar luogo a fenomeni di luminescenza del plancton, in cui l’acqua si accende di piccole scintille. Ok, il fatto che questo non avvenga su una spiaggia tropicale ma all’interno della vostra tazza del cesso rende la cosa un po’ meno romantica, ma non le toglie affatto il lato sorprendente.
Ci sono però altri aspetti meno gradevoli: per esempio il fatto che a volte le acque di scarico hanno la sgradevole abitudine di ripresentarsi. Il che non è mai piacevole, ma in caso di produzioni solide è estremamente imbarazzante, soprattutto pensando a chi condivide il bagno con voi (nel mio caso, Consuelo). Questa mattina ho ingaggiato una battaglia forsennata con due ostinati elementi dotati di una straordinaria capacità di galleggiamento: ogni volta che azionavo la pompa sparivano nel buco, e dopo un attimo eccoli di nuovo lì a navigare tranquilli. Il tutto combattuta tra la necessità di eliminare le mie deiezioni e il timore di riempire troppo il serbatoio delle acque di scarico, provocando chissà quali orrendi danni e confermando una volta di più la mia goffaggine a bordo. Tanto che al quarto tentativo, esasperata, mi sono sentita esclamare “Ma siete proprio stronzi!”, rendendomi conto un attimo dopo che, in realtà, si trattava di una semplice constatazione di fatto.

Comunque, a futura memoria, ecco anche qualche aggiornamento sull’itinerario odierno, che ha comportato solo il breve trasferimento da Alinnia alla vicina isola di Chalki, con il suo delizioso paesino di belle case coloratissime affacciate sul porticciolo. Peccato solo che, nella settimana di ferragosto, detto porticciolo è affollato come Times Square all’ora di punta, e soprattutto è gestito da un tipico esemplare di “omino del porto greco” (di cui già a Symi avevamo avuto esperienza): trattasi di ciccioni in canottiera, dall’aria di energumeni, che accolgono qualsiasi barca turistica come qualsiasi ligure che si rispetti sognerebbe di fare in modo altrettanto esplicito: sbracciandosi e sbraitando furibondi in un inglese rudimentale “Full!! Go away!!! All booked!!!! GO AWAY!!!!!”. Il che non toglie che poi riescano però in qualche modo a far accomodare le barche di qualche amico o di chi probabilmente è riuscito ad allungare una “mancia” considerata sufficientemente congrua. Comunque, dopo una serie di discussioni e risse verbali, ci siamo arresi: abbiamo messo in acqua il canottino di servizio mandando Consuelo, Chiara e Gideon ad acquistare qualche genere di prima necessità e abbiamo poi gettato l’ancora in una baia nelle vicinanze, senza scendere a terra. Il che, comunque, non è stato affatto spiacevole, anzi: una pastasciutta in barca e a nanna presto. Perché domani si riparte, e tra qualche giorno il vento è destinato ad aumentare. Ho giusto un paio di giorni per farmi il “piede marino” prima che si scatenino gli elementi: la vedo piuttosto dura.
P.S.: report infortunistico di oggi: craniate in cabina, solo 1 (debole); mignolini del piede maciullati contro sporgenze varie della barca, 3