Viaggiare in bicicletta ti regala spesso l’occasione di incontri felici, anche quando si rimane a casa. In questi giorni, per esempio, attraverso una serie di contatti dal gruppo Facebook “I cicloviaggiatori” ho avuto come ospiti a Milano due ragazzi davvero straordinari: Sarah e Arthur, svizzeri di Friburgo, di ritorno a casa dopo un viaggio durato oltre un anno e mezzo. “Siamo ingegneri civili, e abbiamo deciso di investire i nostri primi stipendi per scoprire il mondo a modo nostro: in bicicletta e prendendo i nostri tempi”: così raccontano sul blog En route libre, dove descrivono le tappe del loro itinerario attraverso Svizzera, Francia, Marocco, Argentina, Cile, Bolivia, Perù, Ecuador e Colombia (è solo in francese, ma vi consiglio di dargli un’occhiata: si capisce comunque abbastanza, e in ogni caso ci sono delle foto che fanno venire voglia di partire seduta stante!)
Nessun record, nessun primato, solo la voglia di conoscere luoghi diversi, di provare nuove esperienze, di fare incontri con persone di mondi differenti dal proprio. Anche se poi, a ben guardare, i due (entrambi poco più che trentenni) di strada ne hanno macinata davvero tanta, e spesso molto dura (inclusi passi di montagna innevati a oltre 4000 metri di quota). Circa 20.000 – ve lo scrivo anche in lettere: ventimila! – chilometri, su un totale di 557 giorni di cui 302 trascorsi a pedalare (si vede proprio che sono ingegneri: sul loro blog c’è una sezione dedicata alle statistiche che è una meraviglia). Rientrati in aereo dalla Colombia, si sono fermati qualche giorno a Milano, dormendo sul divano di casa mia, prima di rimettersi in marcia alla volta di casa.
Inutile dire che viaggiatori capaci di realizzare un progetto di questo tipo sono inevitabilmente persone straordinarie, oltre che gentili e simpatiche. E i loro racconti, fatti con grandissima semplicità e senza alcuna enfasi, sono innumerevoli e tutti interessantissimi. Non ve li posso certo riassumere, ma ne trovate una buona parte sul loro blog.
Però una cosa ve la racconto, che mi ha detto Sarah l’altra sera prima di cena e che mi ha fatto riflettere. Si parlava dei motivi che spingono a partire e mi diceva che, tutto sommato, i loro incontri con viaggiatori lungo la strada si potevano ricondurre a due tipologie: persone che avevano una vita felice a casa propria e che partivano semplicemente per il piacere del viaggio in sé, per regalarsi un sogno, un’esperienza; e persone che partivano invece per lasciarsi alle spalle delle situazioni negative (sentimentali, lavorative, emotive), per “darsi una svolta” e magari anche prendersi una rivincita rispetto a qualcosa che li rendeva infelici. Di norma – mi diceva Sarah – erano solo i primi a godere completamente del viaggio e a interpretarlo come un’esperienza positiva. I secondi, quelli “in fuga” , vivevano le varie esperienze spesso in modo più faticoso, insoddisfacente e frustrante, e si vedeva chiaramente che l’esperienza non li stava completamente appagando.
Mi è sembrata un’osservazione molto attenta e molto interessante, che in qualche modo ribalta il luogo comune del viaggio come soluzione e mi vede pienamente d’accordo. E che, peraltro, mi ha fatto venire in mente un glorioso titolo di Lercio su cui ho riso per un’intera settimana: “Fa un viaggio in India per ritrovare se stesso e dopo 2000 km a piedi scopre di essere un coglione”. Scherzi a parte, credo sia davvero importante non aspettarsi dall’esterno qualcosa che possiamo ottenere soltanto da noi stessi. Un po’ come negli incontri di cuore, è difficile trovare qualcuno che stia bene con te se non sei tu per primo a stare bene con te stesso; e così nel viaggio, non puoi pensare che il semplice fatto di andare lontano ti regali delle soluzioni che non hai saputo trovare a casa. Viaggiare non è una fuga, è un arricchimento, che continua anche quando si ritorna a casa; e attribuirgli poteri terapeutici è solo un dannoso equivoco.
Tornando all’attualità, i nostri due grandi pedalatori si sono rimessi in marcia questa mattina alla volta del lago di Como, affrontando divertiti e sorridenti una bella nevicata marzolina. Buon viaggio, ragazzi, arrivederci a presto!